Per le aziende oltre i 15 dipendenti il RLS deve essere obbligatoriamente scelto all’interno delle organizzazioni sindacali?

Risponde al quesito la Commissione per gli Interpelli con l’interpello n.20 del 2014, precisando che la scelta operata dal legislatore, all’art. 47  comma 4 del D.Lgs 81/08, per le aziende o unità produttive con più di 15 dipendenti, è quella di individuare il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza all’interno delle rappresentanze sindacali aziendali.

Pertanto, la possibilità di eleggere il rappresentante tra i lavoratori non appartenenti alle RSA, opera esclusivamente laddove non sia presente una rappresentanza sindacale a norma dell’art. 19 della Legge 300/70.

Nel caso di servizio di prevenzione e protezione istituito necessariamente all’interno dell’azienda come previsto dall’art. 31 c. 6 del D.Lgs. 81/2008, il RSPP deve essere necessariamente un dipendente del datore di lavoro o può essere anche un esterno?

Alla domanda proposta dalla Confcommercio, risponde l’Ing Piegari, Presidente della Commissione, con l’interpello n. 24 del 2014 del 04/11/2014, spiegando che il legislatore nei casi qui sottoelencati ha voluto sottrarre al Datore di Lavoro la facoltà di optare liberamente fra i servizi esterni ed interni.

 

a) nelle aziende industriali di cui all’articolo 2 del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334(N), e successive

modificazioni, soggette all’obbligo di notifica o rapporto, ai sensi degli articoli 6 e 8 del medesimo decreto;

b) nelle centrali termoelettriche;

c) negli impianti ed installazioni di cui agli articoli 7, 28 e 33 del decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 230(N), e

successive modificazioni;

d) nelle aziende per la fabbricazione ed il deposito separato di esplosivi, polveri e munizioni;

e) nelle aziende industriali con oltre 200 lavoratori;

f) nelle industrie estrattive con oltre 50 lavoratori;

g) nelle strutture di ricovero e cura pubbliche e private con oltre 50 lavoratori.

 

Tale previsione è ovviamente motivata dalla necessità di assicurare una presenza costante e continuativa del servizio di prevenzione e protezione all’interno dell’azienda.

Ciò premesso la Commissione ritiene che il Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione si considera “interno” quando, a prescindere dalla tipologia contrattuale che lega tale soggetto al Datore di Lavoro, egli sia incardinato nell’ambito dell’organizzazione aziendale e coordini un servizio di prevenzione e protezione interno, istituito in relazione alla dimensioni ed alle specificità dell’azienda.

Pertanto, sarà cura del datore di lavoro rendere compatibili le diverse tipologie dei rapporti di lavoro e la durata della prestazione di lavoro con le esigenze che il RSPP deve tenere presenti per portare a termine pienamente i compiti che è chiamato a svolgere.

Il RSPP, proprio in virtù della peculiarità dei  compiti da svolgere, deve necessariamente avere una conoscenza approfondita delle dinamiche organizzative e produttive dell’azienda, conoscenza che solo un soggetto inserito nell’organizzazione aziendale può possedere.

In tale quadro, dunque, il termine “interno” non può intendersi equivalente alla definizione di “dipendente”, ma deve essere sostanzialmente riferito ad un lavoratore che assicuri una presenza adeguata per lo svolgimento della propria attività.

Il servizio di Prevenzione e Protezione interno deve essere dotato di budget?

L’Unione Sindacale di Base dei Vigili del Fuoco che ha inoltrato il quesito alla Commissione per gli interpelli, che ha risposto con l’interpello n.22/2014.

Il quesito nasce dall’art. 31, comma 2 del D.Lgs 81/08 che prevede che il Servizio di prevenzione e protezione disponga di “mezzi … adeguati” per perseguire le finalità previste dall’art. 33.

La Commissione fa osservare che ai sensi dell’art. 2, lett. 1 del Testo Unico sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, il servizio di prevenzione e protezione è definito come “insieme delle persone, sistemi e mezzi esterni o interni all’azienda finalizzati all’attività di prevenzione e protezione dai rischi professionali per i lavoratori” e che pertanto è discrezione dell’organizzazione aziendale decidere se dover assegnare un budget o meno, avendo riguardo della complessità aziendale e dei rischi presenti.  

Sentenza 9 settembre 2014 n. 37312: obbligo di conservare in azienda gli attestati dell’avvenuta formazione dei lavoratori

 

Con la Sentenza 9 settembre 2014 n. 37312, la Corte di Cassazione ha affermato che i datori di lavoro ai sensi dell'art. 37 D.Lgs.81/08 devono "ottemperare all'obbligo di formazione dei dipendenti e devono conservare in azienda la attestazione della avvenuta formazione"

 

A motivare la sentenza, che chiarisce quanto sopra già previsto dal TU, sono due aspetti:

 

1)    i datori di lavoro sono tenuti, a sensi del ex artt. 37 e 55, co. 5, d.Lvo 81/08, ad ottemperare all'obbligo di formazione dei dipendenti, e devono conservare in azienda la attestazione della avvenuta formazione,

2)    altresì al punto 10 dell'Accordo Stato-Regioni del 21/12/2011 - l'allegato A), richiama implicitamente il d.M. 16/1/1997 e i contratti collettivi di lavoro quanto alla formazione obbligatoria del lavoratore e alle relative modalità di esecuzione, prevendendo laddove dispone che '"in fase di prima applicazione non sono tenuti a frequentare i corsi di formazione di cui ai punti 4, 5 e 6 i lavoratori, i dirigenti e i preposti che abbiano frequentato corsi di formazione formalmente e documentalmente approvati alla data di entrata in vigore del presente accordo, rispettosi delle previsioni normative e delle indicazioni previste nei contratti collettivi di lavoro per quanto riguarda durata, contenuti e modalità di svolgimento dei corsi.

 

Da tutto ciò ne deriva che:

il datore di lavoro deve provare di avere ottemperato all'obbligo in questione, in quanto tenuto a compilare un documento sulla formazione del lavoratore, contenente i riferimenti anagrafici di costui, le ore di formazione dedicate ai rischi, la data della formazione medesima.

Anatocismo, banca pignorata a Campobasso

Banca pignorata a Campobasso per non aver ottemperato ad una sentenza del Tribunale che le imponeva di restituire oltre 200 mila euro ad un correntista in conseguenza dell'illegittima applicazione della capitalizzazione trimestrale degli interessi, spese e commissioni di massimo scoperto, oltre interessi legali e spese processuali. Lo si apprende da una nota dello studio legale De Benedittis dell'Adusbef.